Dove c'è ora viale Romania, la strada che da piazza Ungheria porta verso piazzale delle Muse, nel 1912 c'era ancora qualche vecchia casa. Oltre c'erano sono solo prati e boschi e non era raro imbattersi in gruppi di briganti. In uno di questi piccoli e vecchi edifici, una casetta a due piani che, forse, in tempi passati era stata una stazione di posta dove far riposare i cavalli, Giovanni D'Angeli decise di stabilire il suo quartier generale.

Al suo paese, Stipes di Ascrea (oggi poco più di cinquanta abitanti, in provincia di Rieti) qualche amico gli aveva suggertio di portare il suo vino a Roma: li c'erano centinaia di operai che rappresentavano un grande "mercato", operai che avranno lavorato per anni bisognosi di cibo e bevande. Ed il vino di Giovanni a Stipes è fra i più buoni, lo fa invecchiare nelle botti, coltiva e cura lui la vigna... un vero esperto. Giovanni pensa che è l'occasione della vita, aiutato dal figlio Richetto carica le sue botti su un carretto, la famosa barrozzetta, con due cavalli e parte per questo lungo e faticosissimo viaggio verso la Capitale, quasi cento chilometri lungo la Salaria. Non gli ci vorrà molto a capire che quella vecchia stazione di posta, con una piccola grotta scavata sotto il terreno - l'ideale per conservare il vino - fa al caso suo. Col tempo sistemerà anche una piccola cucina in cui preapara minestre calde per gli operai dei cantieri vicini.

La prima guerra mondiale interromperà questo improvvisato e imprevisto successo ma quel "grottino" ormai è lanciato e, dopo il 1918, riprenderà slancio e recupererà i vecchi clienti. Negli anni '50 e '60 il Grottino del Laziale prende quota, diventa un punto di riferimento della gastronomia romana, quello che è ancora oggi, a cento anni di distanza dall'inizio di attività di trattoria.

Io sono il pronipote di Giovanni. Spetta a me, ora, la gestione del Grottino del Laziale, quarta generazione, un D'Angeli ininterrottamente alla guida del locale. Un record, probabilmente. Si, negli anni '20 il mio bisnonno Giovanni e la moglie riscuotevano già successo con i loro piatti semplici e genuini e, grazie all'apporto in cucina del figlio Ricchetto e di sua moglie, "nonna Rosa", non si limitavano più a servire solo vino, minestre e panini col salame, ma avevano già allargato il ventaglio delle offerte.

Insomma, la trattoria cominciava già a prendere forma.

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